Autococcodrillo


Scrivi il tuo coccodrillo #2

Le persone ricche e potenti fra i tanti privilegi hanno pure quello che un giornalista celebre scriva un articolo sul quotidiano per ricordarlo il giorno della sua morte. Essendo tutte le morti improvvise, per definizione, il pezzo viene scritto in anticipo, e costantemente aggiornato per essere pronto alla bisogna. In termini tecnici si chiama “coccodrillo”.

Deriverà forse dalla locuzione “versare lacrime di coccodrillo?” Immagino di sì, infatti è regola parlare bene del morto, ma per alcuni si eccede senza ritegno, rendendoli ridicoli.

Noi di Zafferano.news abbiamo fatto una scelta radicale, partendo dal principio che nessuno ci conosce meglio di noi stessi. Il nostro sarà un autococcodrillo e uscirà lei/lui viventi.

Quindi i nostri abbonati-lettori, tutti rigorosamente non celebri ma perbene, si scriveranno loro stessi il loro “coccodrillo”. E Zafferano.news lo pubblicherà tal quale, chi vuole con il proprio nome, chi con le proprie sigle, con un solo vincolo: non più di 1.500 battute.

Inviateli a editore@grantorinolibri.it


Visse come volle. Lavorando sodo. Non solo sudore e lacrime. Ma anche frequentando amici con i quali ha spartito il sonno. Il cammino della sua vita terrena non è stata costellata soltanto da rose e fiori, ma pure da incidenti che spesso vengono definiti “di percorso” che, in ogni caso, hanno lasciato il segno che il tempo non rimarginerà.

Ha anche lasciato una frase che dovrà essere trascritta o meglio incisa sulla lapide di marmo che chiuderà, per sempre, il fornetto al cimitero della città capoluogo dove ha vissuto. La frase è questa “Non escludo il ritorno”. A tumulazione avvenuta, gli amici saranno informati attraverso alcuni manifesti funebri che, per legge, vanno comunque esposti negli spazi riservati. Quando vorrete venirmi a trovare al cimitero, risparmiatevi le belle parole e le solite frasi di circostanza.

Siate gioiosi, brindate alla mia memoria, gettate un calice di pro secco sulla lapide e ricordate soltanto le cose belle che abbiamo fatto assieme. E se qualcuno di voi dovesse affermare, anche sotto voce, “sta bene dove sta”, non guardatelo male. Anche il dissenso fa parte della vostra vita terrena. Io ho una visione diversa della vita da dove mi trovo adesso.

Dicono che sia davvero un altro mondo. Credete quello che vi farà più piacere cari amici. Per quanto mi riguarda posso garantirvi che ho tutto quello di cui ho bisogno. Il resto, tutto il resto, l’ho lasciato sulla terra. Quassù non è concesso portarsi appresso borse, borsoni e bagagli in genere. Ma questa è un’altra storia.

Gustavo Bruno 1950


Pisa piange l'improvvisa dipartita, del suo concittadino Carlo Rugani di anni 60. Figlio degli anni '60, ogni sua umana intrapresa fece boom! Da giovane comunista, guardò alla Russia con speranza e, all'America, con diffidenza e sospetto.

Da adulto conservatore e cattolico, guardò alla Russia con speranza e, all'America, con diffidenza e sospetto. Dopo la conversione, realizzò che le cose più belle e autentiche del suo vero io, erano custodite nel cuore di Gesù e, con Lui, sarebbero veramente esistite, alla resurrezione.

Infatti, in questa vita, nessuno ne ebbe contezza (se non forse il cagnolone di casa, Light, da lui detto, Cecco). Sentì anche che era molto importante mettere la scheda nell'urna; poi sentì invece che era del tutto inessenziale, mettere la scheda nell'urna.

Adesso, riposa in pace all'ombra dei cipressi e dentro, l'urna.

Carlo Rugani 1960


Nacque in una buona famiglia piccoloborghese, di insegnanti da più generazioni, nella piccola provincia italiana, che tanto diede alle buone lettere, e così poco ai notiziari.

Venne educato con attenzione ed amore: fu quindi sempre grato ai genitori per la decente cultura di base e il buon italiano che parlava e nel quale scriveva, ma lo fu meno per l'impreparazione a capire il mondo, gli uomini, e il senso della propria unicità.

Volle distaccarsi, per la sua natura ribelle, dall'albero dell'umanesimo familiare, per dedicarsi alla cultura tecnica; salvo accorgersi, sperò non troppo tardi, di avere errato. Cercò di recuperare meglio che poté.

Amò la Scienza e lo deluse. Amò la Tecnica e lo deluse enormemente. Amò le donne e lo delusero, più per colpa sua che loro. Amò la politica, e tardi ne scoprì la necessaria, amara, verità: che ognuno è solo e responsabile, e niente e nessuno possono cambiare questo fatto. Amò la Letteratura, la Psicologia, la Filosofia, la Musica, e non ne fu - quasi mai - deluso.

Fu buon lavoratore, dipendente, imprenditore, professionista, quasi inventore; fu pigro, onesto, cinico e sarcastico, ma ebbe sempre a cuore l'umanità, e tenne cara la pietas che essa, sempre, gli ispirò. Di lui non resteranno figli, né opere a testimonianza. L'amicizia fu la sua unica, vera, consolazione, e mai gli mancò. Di ciò fu grato a Dio, a cui mai credette.

F.L.- Il Papa Buono 1961

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In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite