Chiacchiere


The Clash: The London Calling 40th Anniversary Display

Londra, Victoria Park, 30 aprile 1978, Rock Against the Racism, per molti versi una pietra miliare, ma non fu affatto un traguardo facile da raggiungere. Il primo RAR in effetti fu abbastanza diverso. Era il Novembre del ’76 e si svolse interamente in un pub dell’East End di Londra, il Princess Alice.

Un evento indubbiamente importante ma di portata e dimensioni modeste. Per l’occasione fu creata una fanzine, Temporary Hoarding, che oltre a parlare di musica, si schierava apertamente a favore dell’integrazione razziale, incoraggiava iniziative e cercava di risvegliare una coscienza collettiva, cosa che affettivamente si sarebbe verificata di lì a poco. Il ’77 fu l’anno dell’ascesa inarrestabile e della definitiva consacrazione del Punk. Gruppi spuntavano come funghi in tutto il Regno Unito, e anche il RAR assunse ben altre dimensioni. Eventi simili prendevano luogo non solo in Inghilterra, ma in tutta Europa e anche oltre oceano. Fino ad arrivare al ’78, quando nel movimento si iniziò ad avvertire la necessità di compiere il passo definitivo (ah beato quel punk innocente!), di creare qualcosa che avrebbe veramente lasciato il segno e abbattuto tutte le barriere della segregazione, ancora un fattore nell'Inghilterra, e non solo, di fine anni ‘70 (e non solo allora); in poche parole, una sorta di Woodstock ma in versione punk-rock. Fu coinvolta anche l’ANL, l’Anti Nazi League, un’associazione che oltre a raccogliere diversi consensi, raccoglieva anche qualche fondo; l’idea era quella di organizzare un evento di dimensioni imponenti, in aree povere e disagiate della capitale, ma ricche culturalmente. Fu un’intuizione geniale. Il 30 Aprile del 1978, 100.000 persone marciarono da Trafalgar Square sfidando gli hotspot più hot del National Front dell’East London, fino a confluire a Victoria Park e dare vita al più memorabile dei Rock Against Racism mai organizzati. Il gruppo di punta, ovviamente, erano i Clash. I 20 minuti in cui esplosero le note di “London’s burning” e “White riot” furono letteralmente incendiari. Fu una svolta. La coda fiammeggiante della cometa Clash iniziava ad ardere della sua luce più fulgente, solcando il firmamento del Punk Rock e marcando a fuoco il presente di allora e i 5 anni da lì a venire. Poco più di un anno dopo, esattamente il 14 dicembre del 1979 usciva “London Calling” e niente nel Rock fu mai più come prima.

Sabato 14 dicembre 2019, esattamente 40 anni dopo, mi trovavo a Londra appositamente per le celebrazioni del 40esimo anniversario del disco più iconico della storia del Rock. Ad accogliermi all’esterno del Museum of London, un’atmosfera tipicamente brit metropolitana che richiama piuttosto bene il mood dei giorni più punk della capitale, con i suoi mattoni scuri e un bellissimo grigio fumé che si accoppia in maniera perfettamente armonica e dissonante con quel tema verde- rosa che informa la copertina del doppio LP e che da solo è capace di evocare all’instante nella mia testa le note di "Wrong ‘em boyo", "Jimmy Jazz", "Death or Glory", "London Calling". Un murale semi circolare di foto, immagini, spezzoni di testi, mi accompagna fino all’interno del museo nell’ala dedicata a loro, “the only band that matters”. Qui l’atmosfera è piuttosto diversa, sembra di stare in un recording booth. La sezione dedicata è addirittura circolare con al centro il cerchio bianco con scritte in nero le canzoni del lato A; in sottofondo un Joe Strummer in forma strepitosa, annuncia che dal binario 1 sta per partire “Train in Vain” and “if you don't want to come, there's always the toilet!”. In pratica ti trovi su un LP rotante, che ti immerge a 360° nell’universo Clash e mentre assapori giro dopo giro ogni particolare, ogni biglietto, ogni quaderno, ogni fotografia, t-shirt, giacca di pelle, ecco che fa la sua comparsa lui, proprio lui. Ricordo la prima volta in cui vidi la copertina di London Calling, mi chiesi chi fosse quell’elemento che stava fracassando il suo basso con così tanto impegno. E dove fosse. Quale concerto. Che band fosse mai quella. Certo una band con un carisma straordinario. Un’immagine impossibile da dimenticare. Poi mi misi ad ascoltarlo e il resto è storia. E quello stesso basso adesso è lì, adagiato su un cuscino di velluto rosso come una reliquia e protetto da una teca di cristallo come la Sacra Sindone.

È evidente come l’intento di questa mostra (è gratuita e chiuderà il 19 aprile 2020) non sia soltanto quello di celebrare un mito, quanto soprattutto quello di avvicinare sia gli adepti (come me), che i newcomers, a un capitolo fondamentale di storia della musica, far salire tutti, ma proprio tutti i Clash City Rockers, su quel vinile e su di esso compiere 33 meravigliosi giri in compagnia di Joes Strummer, Mick Jones, Paul Simonon e Topper Headon intorno all’universo Clash. Ed in questo dobbiamo dire che è tutto perfettamente riuscito.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Filippo Baggiani (Torino): commerciale settore moda, scrittore allo stato quantico
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Tommy Cappellini (Lugano): lavora nella “cultura”, soffre di acufene, ama la foresta russa
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro