Antibiotici, vaccini ed anestetici sono stati i farmaci che hanno segnato più profondamente questo progresso. Purtroppo però il protrarsi dell'esistenza spesso non si accompagna ad una altrettanto buona qualità della stessa. Continuare a vivere, o forse sarebbe meglio dire a sopravvivere, grazie a terapie farmacologiche senza poter godere di una piena autonomia è sicuramente una prospettiva poco attraente.
In questo contesto, le malattie correlate a stili di vita errati giocano un ruolo di primaria importanza. Sindrome metabolica, diabete di tipo II, malattie cerebro-cardiovascolari (ictus ed infarto, per capirci), tumore della mammella e del colon e probabilmente Alzheimer sono le malattie in forte aumento che sono imputabili fondamentalmente a alimentazione sbagliata e stile di vita sedentario.
Le due cose insieme creano un mix esplosivo che favorisce l'instaurarsi di questi quadri patologici. Tutto ciò è indiscutibilmente documentato da studi epidemiologici e dovrebbe essere preso in seria considerazione dai medici. Purtroppo, nella realtà dei fatti, così non è. Modificare gli stili di vita della persona, prima ancora che del paziente, comporta l'utilizzo di strategie di comunicazione e di risorse di tempo di cui spesso il medico non dispone. L’estrema specializzazione della professione sanitaria aumenta le capacità tecniche nel gestire una singola malattia ma si rischia di perdere la visione d’insieme sul paziente che spesso è affetto da più patologie, ad esempio diabete e ipertensione che vengono magari gestite da due specialisti diversi ma che hanno un’origine comune negli stili di vita scorretti. Eppure è molto più facile prescrivere due, tre, quattro farmaci diversi piuttosto che cercare di modificare le abitudini comportamentali.
Il cambio di paradigma riguarda anche la cultura degli individui che devono assumere la propria responsabilità nel mantenimento della salute e non più pensare che essa dipenda largamente dal fato. Si tratta di spostarsi dal “ringraziando il cielo” verso il sentirsi protagonisti del proprio futuro in termini di comportamenti e scelte di vita. Un futuro la cui qualità dipenderà dalle azioni quotidiane. Sarà un po’ come mettere da parte i soldi, in “buoni salute”, per garantirsi una vecchiaia decorosa anche perché i numeri dell’economia giocano contro la previsione di mantenimento dell’attuale livello di assistenza pubblica. La prossima generazione molto difficilmente avrà accesso a indagini mediche e cure che spesso hanno costi altissimi e che permettono anche ad individui con malattie gravi di continuare a vivere anche se spesso con una qualità di vita discutibile.
Ecco perché la prevenzione conviene: all'individuo perché guadagna salute, ai governi perché risparmiano, alla società perché guadagna felicità.