Chiacchiere


Omaggio al Re pallido

Un pomeriggio al campetto da tennis fra una prima di servizio sparata in rete e una seconda concepita debole ma con in sé il seme dell’ambizione.

Se la prima entra, non ce n’è per nessuno, in caso contrario la seconda diventa strategicamente determinante. Battere finalmente il rivale di sempre, nell’ennesima prosecuzione della nostra partitella del sabato che ci vede impegnati in un interminabile quinto set che dura ormai da anni, sempre, costantemente punto a punto. La pallina rimbalza una, due, tre, quattro, sette volte. Altro che debole, la mia seconda è una temeraria che esce tagliata, profonda e veloce. Io la seguo a rete in un coraggioso serve and volley. Il mio avversario carica il dritto, mi posiziono e attendo il passante e in quel momento, nell’istante interminabile prima del colpo ferale a cui dovrò opporre la mia volée, guardo verso il mio angolo.

L’esperienza mistico-religiosa del tennis si presenta adesso davanti a me in maniera quasi materica, incarnata da quella figura sempre al centro di un cono di luce che ne esalta il carattere, la sostanza, lo spessore. A mio avviso gli occhiali, i capelli lunghi, la barba incolta e la bandana di tanto in tanto, servono a depistare dal suo status di genio, da quell'etichetta di golden boy della letteratura da cui in tutti i modi David, cercava di sfuggire.

Imparai ad amarlo traducendo “Burned children of America”, una folgorazione, una prosa complicata e perfetta, ogni battuta una sfida, ogni parola un’iniezione di adrenalina che rinvigoriva dalla spossatezza il nervo della traduzione e ti faceva andare avanti e in profondità nel gorgo della dipendenza da quello stile così descrittivo e doloroso, e quasi riuscivi a percepire l’iper-realtà della pelle bruciata, del pianto indistinto di madre e figlio, dei piccoli movimenti convulsi della mano, dei passi affrettati del padre fuori nella veranda e del corpo del bimbo “come una cosa fra le cose [...] la sua anima sospesa a mezz’aria come una nuvola di vapore”.

La scoperta di un Foster Wallace scrittore satirico in “Una cosa divertente che non farò mai più” e l’innamoramento con “La ragazza con i capelli strani”, autentica raccolta-capolavoro. E poi l’adorazione di Federer, l’assunzione del giocatore a vero e proprio mito, quando guardandolo giocare “ti lasci sfuggire versi che spingono tua moglie ad accorrere da un'altra stanza per controllare se stai bene”.

David è seduto al mio angolo e sta scrivendo, sicuramente un altro capolavoro. Alza gli occhi per un attimo in attesa della mia volée, solo gli occhi. Non lo deludo, il passante del mio avversario è condizionato dalla profondità della mia seconda e si smorza sul piatto corde. Copro la rete in maniera perfetta, la palla muore all’incrocio delle righe. Punto. Vantaggio interno. La pallina rimbalza una, due, tre, quattro, sette volte. La prima di servizio esce potente e precisa. Guardo il mio angolo e il Re Pallido non c’è più. Match point che non può che essere dedicato a te.

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In questo numero hanno scritto:

Filippo Baggiani (Torino): commerciale settore moda, scrittore allo stato quantico
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica, scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Tommy Cappellini (Lugano): lavora nella “cultura”, soffre di acufene, ama la foresta russa
Angelo Codevilla (California): professor emeritus, viticoltore, tifoso di Tex Willer
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale
Marinella Doriguzzi Bozzo (Torino): da manager di multinazionali allo scrivere per igiene mentale
Marta Fossati e Luca Giacosa (Sambuco, Cuneo): pastori di capre meticce
Pietro Gentile (Torino): bancario, papà, giornalista, informatico
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Giancarlo Saran (Castelfranco Veneto): medico dentista per scelta, giornalista per vocazione