Supplemento


Spremuta di Camei

AIUTIAMO L’AMERICA A SCONFIGGERE IL VIRUS CINESE

TRASCRIZIONE DI UN PODCAST INVIATO AI MIEI QUATTRO NIPOTINI

SIAMO DIVENTATI ZOO, CHE FARE?

HO SPUTATO IL ROSPO

IL COLLO DI BOTTIGLIA CHE PUO’ CAMBIARCI LA VITA

AIUTIAMO L’AMERICA A SCONFIGGERE IL VIRUS CINESE

Come sanno i miei famigliari e amici, e quelli che leggono i miei Camei o sono abbonati a Zafferano.news, da una dozzina d’anni studio (il confine fra “studio” e “seghe mentali” è impercettibile) il mondo nuovo, digitale, che verrà. Velleitarismo senile in purezza? E’ possibile.

Con Giovanni Maddalena abbiamo scritto un libro che solo gli abbonati a Zafferano.news (abbonarsi è gratis) potranno acquistare a 5 €, come libro digitale, e a 50 € in copia cartacea numerata e firmata dagli autori. E’ la sintesi di una dozzina d’anni di scrittura (furiosa e giornaliera) che ha dato origine a circa 2.500 Camei, a diversi libri, qualcosa come oltre 10 milioni di battute. Il libro, scritto secondo il linguaggio Zafferano, è un saggio giornalistico, non certo accademico, di appena 145 pagine (all’inizio era di oltre 600). Racconta in modo leggero, spesso disinvolto, a volte triste, il declino del CEO capitalism, quel modello politico, economico, purtroppo pure culturale, che ha tolto dal centro della scena l’uomo, sostituendolo con un banale, spesso ridicolo consumatore. Che smacco dev’essere stato per lor signori il ritorno dell’uomo al centro della scena, seppur devastata, che smacco dover proporre la chiusura dei negozi (le chiese, con le casse come tabernacoli, dove passava il verbo per i fedeli-consumatori). E massimo smacco il blocco dei voli aerei (Jeff Bezos, Bill Gates, Jony Ive senza il Gulfstream, sono antropologicamente dei barboni). Soprattutto dover tener aperte le farmacie, che in fondo servono solo a noi vecchi, entità inutili per questo modello. Fa scompisciare dal ridere vedere nei talk interrompere dibattiti inutili per far passare una pubblicità inutile.

Il Cigno Nero è arrivato. Si è presentato sotto le spoglie di un virus sconosciuto che OMS, al cui vertice, non dimentichiamolo mai, ci sono politici terzomondisti filo cinesi (gli scienziati sono solo di supporto, con poco potere decisionale), ha ora definito come “pandemia”. Nessuno conosce cosa succederà. Nessuno sa se i numeri forniti sono veri o politicamente manipolati.

Sia chiaro, parlo per me, i dati della Cina sono politicamente falsi per definizione, trattandosi di un regime nazicomunista. Punto. Non saprei definire diversamente che “marketing macabro” l’immediata campagna promozionale del “Partito Comunista Cinese”, che con il supporto delle salottiere élite nostrane, si traveste da Don Bosco per vendersi questa loro schifezza virale: prima nasconde il virus e poi ne cavalca i risultati. Che tristezza e rabbia proveranno gli intellettuali e i dissidenti cinesi, laici e religiosi, di fronte agli osceni comportamenti delle nostre leadership laiche e religiose. Ho passato anni a sentire i peana delle nostre élite a loro favore. Appena gli scambi commerciali sono esplosi, i peana sono stati sostituiti dall’ammirazione più servile. E ci definiamo democratici e liberali, e pure cristiani. Puah!

Per quel che vale (assolutamente nulla) io non ci sto. Malgrado le pressioni di parenti e amici che mi invitano a tacere e a fregarmene (immagino tenuto anche conto dell’età e del carcinoma) ripeto che Xi Jinping è andato a occupare, a pieno merito, il posto che era stato di Mao nel Quartetto Mussolini–Hitler–Stalin. Qualsiasi analisi non consolatoria si voglia fare sul futuro dell’Occidente, liberale e democratico, bisogna partire da lì. La sconcezza di una globalizzazione selvaggia è servita per dare alla Cina le chiavi per il governo del mondo. La grandezza di Roma era stata quella di capire e di individuare, in ogni fase storica, quale era il suo nemico, e combatterlo con ogni mezzo. Quando alla fine del II Secolo le élite romane sono state assalite dal languore colto, finì tutto, l’Impero si sbriciolò.

Alle 23,59 di ieri (io dormivo da oltre tre ore) il mio amico Pietro, da tre settimane chiuso in casa con sua moglie e la sua deliziosa piccola (4 anni), mi scrive una mail. Al risveglio, estraggo la frase chiave, ove si chiede, e mi chiede: “Cosa potrebbe succedere se l’America non riuscisse a superare la crisi del Virus di Wuhan?” Ieri, sorridendo, ho postato su Twitter: “Xi Jinping vuole passare alla Storia come salvatore del mondo dopo averlo impestato con i suoi ritardi. Perché non fargli una bella class action?”.

Nessuno di noi, focalizzati come ottusamente siamo su “fatturato-posizione finanziaria-indebitamento” ha capito che l’indice primario del business nei tempo di crisi, e in crisi lo siamo da trent’anni, è il BEP (break even point). Quello della Cina è fragilissimo, ma prima di parlare andiamo a vedere come abbiamo ridotto i nostri con il CEO capitalism trionfante.

Pietro ha colto nel segno. Per l’Europa, per l’Italia è arrivato il momento di restituire all’America ciò che ci ha dato nel Novecento, in occasione di due guerre mondiali, scatenate dai satrapi nazicomunisti europei, in fondo identici a quelli attuali cino-silicon valley. Aiutiamola a respingere il virus cinese (questo è il nome autentico di COVID 19).

Di fronte al virus cinese l’America è fragile, perché fragile e ingiusto è il suo modello sanitario, il suo welfare. Però se molla l’America profonda, quella che ho amato, quella buzzurra ma sana degli stati agricoli e delle cinture industriali, è finita. Le loro languide élite costiere, e le nostre centro-nord europee, sono pronte ad abbandonare in un battibaleno la democrazia, le libertà civili, i diritti conquistati in due secoli, sono pronti a chiudere la “società aperta” di cui tanto blaterano, sono pronti ad arruffianarsi con il Satrapo cinese, pur di avere qualche principato di montagna.

Mi scuso con i lettori per l’enfasi, sono stanco, vado a riposare.


TRASCRIZIONE DI UN PODCAST INVIATO AI MIEI QUATTRO NIPOTINI

Come promesso loro, stamane ho mandato ai miei quattro nipotini un podcast raccontando quella che sarà la terza giornata di nonno Riccardo (un vecchio di 85 anni, 3 mesi, 5 giorni a cui loro vogliono bene, figuriamoci io) in quello che tecnicamente si chiama “stato d’eccezione”. In parole povere, significa che viviamo un momento ove chi comanda non è chi ha formalmente il potere, seppur assegnatogli con tutti i crismi dal Parlamento, ma chi dovrebbe saper prendere le decisioni. Stante che mi sento ostaggio di un Partito (pardon, Movimento) in via di dissoluzione, che ha scelto e supporta un Premier e ministri imbarazzanti (per me), ho deciso di aggrapparmi, culturalmente, al Presidente della Repubblica e, per gli aspetti operativi, alla Protezione Civile e ai Presidenti di Regione. Da subito ho seguito i loro ordini in modo pedissequo. Ho pure deciso di non guardare più la TV di regime, quella che mangiava a reti unificate gli involtini primavera (volgarità comunicazionale allo stato puro), quella dell’osceno partito filo satrapo cinese (che tristezza osservare parte dei miei concittadini arruffianarsi con un nazicomunista). Li ho sostituiti tutti con “Giorgione Orto e Cucina”, canale SKY 412.

Qua c’è un supermercato aperto, come dicono i colti, H24 (ragazzi non usate questa locuzione oscena, è così bella la lingua italiana: si dice giorno e notte), ci sono andato alle 6,30 (ero solo, con una stanca commessa) per comprarmi le lamette da barba e un sapone Marsiglia. Alle 7, in piazza, puntualissima arriva quella che chiamo con affetto la “mia contadina” (S) mi ha portato una cassetta con 4 carciofi, un mazzetto di asparagi selvatici (“mi raccomando da far solo scottare”), 4 limoni, una zucca, altre dolcezze del suo orto che, come dice lei, sta risvegliandosi. Non avendo lei il POS e rifiutando io di usare la carta di credito, ho pagato in contanti (lo farò fin che la carta moneta avrà corso legale: solo chi è stato povero capisce il piacere di avere banconote fruscianti in tasca e di darle a chi le merita senza loschi intermediari). Chiusa per sempre l’edicola (R. grazie al suo buon inglese ha trovato un posto da autista in una catena distributiva in Galles), dal tabaccaio ho comprato i grandi quotidiani di regime. Amo talmente il fascino del cartaceo che li tengo in mano, spesso non li leggo neppure, tanto so che fino a pagina 30, quelle delle grandi/medie firme, ci sono solo fake truth, se sei fortunato trovi un paio di articoli di qualche giovane autore. Ormai i grandi quotidiani sono imbarazzanti, so che non è così ma ho la sensazione che vogliano prendermi in giro: alcuni non li riconosco più.

Torno a casa, mi lavo le mani. Osservando come lo fa la mia ultima nipotina, Ada Rosa, sono tornato bambino. Ho scoperto che per tutta la vita da supermanager mi ero lavato le mani in modo distratto, con gesti banali, inutili, ora sono tornato umano, mi lavo come mi aveva insegnato mia mamma: “Marsiglia e olio di gomito!”. Grazie CODIV 19. Fra poco arriverà F. mi porterà il pesce appena pescato (me lo ha anticipato, oggi sarà una ricciola) ho imparato a sfilettarlo e mia moglie ed io lo mangeremo crudo a mezzogiorno, su un letto di insalatina, sale delle saline del Papa, un filo di olio taggiasco. Stasera una minestra di zucca e patate, e parmigiano di vacche rosse 30 mesi, come se piovesse.

Posso mettermi a scrivere. Ogni tanto vado in terrazza, l’aria è frizzante, il sole è dolce, i gabbiani sono aggressivi (hanno i piccoli). Sono vivo. Sono felice.


SIAMO DIVENTATI ZOO, CHE FARE?

Erano i primi anni Ottanta. Un giorno Cesare Romiti, allora CEO di Fiat, mi chiama e mi fa un discorsetto accorato. Lo ricostruisco dai miei scarni appunti di allora: “In questi ultimi anni lei ha fatto un eccellente lavoro nelle due aziende che prima ha risanato e poi riposizionato, dotandole di un conto economico e una strategia finalmente all’altezza. Una addirittura, dopo il risanamento, l’ha venduta agli americani, avendo capito (e noi con lei) che non si sarebbe salvata, senza robuste iniezioni di capitali da investire in R&D (ricerca e sviluppo), che in questo momento non disponiamo. Abbiamo ben altre priorità. Ho parlato con l’Avvocato Agnelli e abbiamo deciso di “rafforzare” l’attuale CEO di X. Come sa, l’abbiamo nominato da poco, assumendolo dall’esterno, con un curriculum tutto focalizzato sui beni di largo consumo, di certo culturalmente lontano dal nostro business, legato com’è a crisi cicliche che bisogna saper cavalcare. E’ stata una scommessa. GB, UQ e lei dovete, in tre ruoli chiave, supportarlo. So che siete pure amici. Ci conto”.

Gli risposi che accettavo, essendo un soldato Fiat, ma mi pareva difficile che la mossa potesse aver successo: a un vero leader non puoi imporre tre badanti di alto peso specifico in termini di deleghe, piuttosto costui si dimette. Il nostro non si dimise, il giochino non funzionò, dopo un anno fu licenziato.

Quando una quindicina d’anni fa decisi di fare il giornalista, pardon scrivere pezzi per me, che poi alcuni direttori di giornali decidevano, di volta in volta, di pubblicare o meno, capii che potevo scrivere di politica solo in un’ottica di management, unica materia che dominavo. Intuii che nel mondo del CEO capitalism dominante uno studioso di leadership come me poteva dare un contributo. Perché, stante la fragilità del modello politico, economico, culturale, le crisi si sarebbero succedute e avremmo scoperto che la politica non aveva uomini e strumenti idonei per cavalcarle. Erano uomini e strumenti fuori scala per gestire una complessità che richiedeva poca ideologia (che loro possedevano invece in eccesso) e tanta execution (che non possedevano affatto).

La decisione del Governo in carica di trasformare l’Italia in uno Zoo (a questo punto decisione sacrosanta perché obbligata) mette gli azionisti del paese Italia (noi cittadini) nel medesimo dilemma dei Vertici Fiat dell’inizio anni Ottanta: si può rafforzare dal basso una leadership o è meglio sostituirla? E se sì lo devono fare i Partiti in Parlamento o direttamente noi cittadini?

Il disastro politico che dura da due anni, sta da un lato dissolvendo il partito di maggioranza relativa (ormai assolutamente marginale nel paese e ridicolizzato a ogni livello), e dall’altro sta bruciando sia le leadership del centro destra che del centro sinistra: fare politica con degli “scappati da casa” (copyright degli intellò durante il Conte Uno) è suicida. Ormai noi cittadini perbene abbiamo una sola sponda, il Presidente Sergio Mattarella, che gode di grande considerazione nella maggioranza silenziosa del paese e la sua moral suasion istituzionale è assolutamente credibile. Riflettiamoci bene, poi decidiamo che fare.


HO SPUTATO IL ROSPO

So perfettamente di essere nessuno nel panorama politico italiano, di più, so di non rappresentare nessuno, di più, sono pure vecchio, e ai tempi di COVID 19 non è una gran bella cosa, di più, so che ciò che sto per scrivere sarà probabilmente ridicolizzato dall’establishment. Ma non posso non dirlo. Lo devo ai miei genitori e nonni, tutti operai Fiat, antifascisti prima, poi anticomunisti e antiazionisti, che hanno lottato per la Repubblica. Lo devo alla mia dignità di padre, di nonno, di cittadino, di cattolico, di uomo. Per dirlo intendo avvalermi dell’unico privilegio che mi sono costruito in una dozzina d’anni, il Cameo, un pezzo giornalistico solitario, che esce per i soli abbonati (ma abbonarsi è gratis) di Zafferano.news, e che alcuni giornali cartacei e digitali a volte riprendono. Uno strumento che può permettersi, essendo niccianamente al di là del bene e del male, di dire sempre e solo quella che considera la verità.

È mesi che giro intorno a questo problema, essere un liberale nature (aggiungo nature poiché ormai si dicono tutti liberali, senza esserlo compiutamente), devoto al voto popolare (sono per il sistema elettorale svizzero rafforzato da referendum popolari), mi ha sempre trattenuto. Ma ciò che è successo l’altra notte, una surreale conferenza stampa a reti unificate, alle 3 del mattino, su un tema vitale per il Paese, e le successive ignobili accuse fatte alla stampa, mi hanno convinto.

Ho scritto subito una “Lettera aperta” al Segretario Generale della Presidenza della Repubblica, poi l’ho buttata. Mi sono detto: “cala trinchetto”. Dovevo sputare il rospo, senza intermediazione alcuna. Dovevo, pur sapendo che non vale nulla, per dignità giornalistica e umana, prendere una posizione definitiva, con una locuzione secca. La scrivo in grassetto e la metto fra virgolette: “Come cittadino comune mi rifiuto di essere ostaggio di un Partito in via di dissoluzione, che ha scelto e supporta un Premier dimostratosi sul campo politicamente inetto”.


IL COLLO DI BOTTIGLIA CHE PUO’ CAMBIARCI LA VITA

Giuseppe Conte (versione Conte Bis) ce l’ha fatta: ha finalmente parlato a reti unificate.

Una premessa, sono sempre stato un cittadino esemplare, quindi anche questa volta mi atterrò rigorosamente a quanto detto dal Presidente del Consiglio, supportato per gli aspetti sanitari dagli scienziati. Oltretutto Conte è stato “bollinato” due volte, dal Parlamento e dal Presidente della Repubblica. Per disciplina civile mi atterrò alle sue direttive, pur non condividendo nulla delle sue politiche in entrambi i Governi da lui presieduti.

C’è una frase della sezione “Diario” dell’immensa opera di Søren Kierkegaard che si adatta a questo periodo come una tuta a un sub: “State attenti: la nave ormai è in mano al cuoco di bordo. E ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta ma ciò che mangeremo a pranzo”.

Ripeto, non discuto i contenuti delle ricette e le attuerò, così come farà la mia famiglia. In questi casi però la partita si gioca sulla capacità di gestire il processo manageriale decisione-ordine-execution. È un processo molto complicato da gestire, richiede uno spessore manageriale molto elevato, comporta centinaia di micro decisioni (ne sbagli una e devi tornare alla casella di partenza), comunque fingiamo che questi (nel Conte 1 i “competenti” li chiamavano “scappati da casa”, ora tacciono immagino per carità di patria) siano in grado di implementare i relativi micro processi.

E fingiamo pure che costoro abbiano un Piano B, qualora si accorgano che l’attuale non funzioni. Ma c’è una variante dello scenario, c’è un worst case. Leggete i “numeri” di Luca Ricolfi pubblicata su Italia Oggi e vi vengono i brividi. Poi c’è un’ipotesi (estrema) dei tecnici ministeriali sostanzialmente simile pubblicata dal Tempo. Il COVID 19 ha un drammatico vincolo che impatta con uno dei più strategici colli di bottiglia di un ospedale: i posti letto in terapia intensiva e sub intensiva.

Questi letti sono configurati per le attuali patologie: COVID 19 è aggiuntivo. Se i numeri cambiassero si aprirebbe un problema immenso: chi salviamo e chi abbandoniamo al loro destino? (copyright di Mike Bloomberg). Il quesito se l’è posto per primo Franco Bechis sul Tempo. Mi associo. Nei Paesi dove vige la sanità privata il dilemma lo decide il budget dei singoli pazienti. Nella sanità nazicomunista cinese lo decide il Partito. E da noi?

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