Pensieri e pensatori in libertà


Statue e segni

Nel meraviglioso romanzo Q, prodotto sperimentale del collettivo Luther Blisset, il capo degli anabattisti Bernhard Rothmann comincia le sue prediche anti-cattoliche da un aneddoto: l’aver incrociato un bambino cattolico di 5 anni, il quale, interrogato su chi fosse Gesù, rispondeva: “una statua”. Di qui lo scandalo e l’accusa di idolatria che infuocano le pagine del romanzo nella battaglia tra l’eroe protestante, sempre più radicalizzato e pauperista, e l’anti-eroe, l’agente segreto cattolico Q. 

Se non l’avete mai letto, leggetelo, pauperisti e cattolici, atei e devoti: quando un libro è bello, è bello sempre, da qualunque angolo lo guardiate.

La pagina degli anabattisti, però, mi è tornata in mente in occasione delle celebrazioni per l’arrivo a Termoli (Molise) della statua della Madonna di Fatima, copia autentica e pellegrina di quella portoghese nella cui corona è incastonato il famoso proiettile di Giovanni Paolo II. Indifferente alle analisi sociologiche che compaiono ogni settimana sulla stampa e, ancor di più, a quelle filosofiche-teologiche su rischi e opportunità del secolarismo e del nichilismo, la statua è arrivata a Termoli con l’elicottero della Guardia di Finanza, salutata dai fazzoletti bianchi di migliaia di fedeli, accolta dai discorsi di autorità civili, militari e religiose, e pure dalla fanfara dei carabinieri. Tutto come da copione di un film antico. Forse sociologia e filosofia delle religioni si dovrebbero confrontare con realtà molto più variegate di quelle delle medie statistiche e delle impressioni delle zone selezionate del mondo e avrebbero un quadro un po’ più realistico, anche se magari non meno problematico.

Ma ora concentriamoci sul problema della statua. Davanti a me, una bambina di 5 anni, sulle spalle del papà, attende l’evento. Al scendere della statua della Madonna dall’elicottero esclama: “Ma è morta! È una statua!”. Ed eccoci al problema di Rothmann, cinquecento anni dopo: la fede può vivere senza segni sensibili? E, d’altro canto, i segni sensibili non corrompono la fede?

Curiosamente, la bimba termolese è delusa dal fatto che il tanto atteso arrivo della Madonna sia l’arrivo di una statua. Al contrario del bimbo rappresentato in Q, non è soddisfatta del rapporto con una statua e non pensa che il rapporto con il divino si possa compiere senza qualcosa di vivo. D’altro canto, il padre della bimba e la folla presente sono interessati alla statua non per la statua in sé, ma per la persona che essa rappresenta.

Non invidio il padre che avrà dovuto spiegare alla sera la difficile idea di segno e la convinzione che il segno non sia una convenzione arbitraria ma che, in qualche modo, porti con sé l’oggetto che rappresenta. D’altronde, qui è il problema logico e la grande alternativa della libertà umana. Il segno è emanazione del suo oggetto e, quindi, dai segni posso risalire alla realtà che essi rappresentano oppure il segno è un valore costruito da noi, creato da noi che crea la realtà?

Ovviamente, il problema del segno non vale solo per la fede religiosa. È il problema di ogni conoscenza: anche le parole che ci istruiscono su qualsiasi materia sono segni. Anche i regali che ci dicono del bene altrui sono segni. Anche i cenni che ci spingono a fidarci di qualcuno quando non ne capiamo la lingua sono segni. Ci sono tanti tipi di segni, ma la loro dinamica è sempre uguale e la grande alternativa della ragione rimane: i segni sono espressione della realtà o il nostro strumento per inventarla?


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Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
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