Vita d'artista


Trova le differenze

Un gioco che non ha mai smesso di appassionarmi, fin dalla tenera infanzia, da fedele lettrice della Settimana enigmistica (da piccola la rubavo a mia nonna Marcelle, che se ne serviva per imparare l’italiano) è “Trova le differenze”. 

A parte l’esercizio di osservazione e memoria visiva, è molto affine al metodo della composizione pittorica, perché ti obbliga a non dare per scontata l’immagine che hai di fronte, a tenere sott’occhio tutti i dettagli e a modificarli se necessario. Non sono un’esperta di percezione visiva, ma conosco i molti trucchi che utilizza il nostro cervello per compensare le mancanze o le distorsioni nella visione, a cominciare dalla linea dell’orizzonte, che è una linea totalmente immaginata, perché è impossibile vedere l’infinito. Il gioco del trovare le differenze parte dal presupposto iniziale di due immagini apparentemente uguali, che la mente identifica e automatizza, differenze che difficilmente coglie se non sforzandosi . Per capirlo bisogna quasi sottrarsi al proprio sguardo, allontanarsi in regioni remote per poi vedere.

Un artista che in assoluto ha fatto di questa dimensione una materia primaria è Renè Magritte, che attraverso una pittura del tutto classica (quasi a sfiorare l’accademico) ha creato dei cortocircuiti visivi, le cui implicazioni figurative e filosofiche lo hanno reso di certo uno dei più importanti artisti del secolo. Il principio che Magritte rompe è quello cardinale della pittura classica, che stabiliva un legame indissolubile tra verosomiglianza e rappresentazione, tra segno e cosa , ribaltando quel principio, come viene sottilmente intuito da Michel Foucault nel saggio che gli dedica “Ceci n‘est pas une pipe”. Il famosissimo quadro al cui titolo si riferisce, esibisce una pipa dipinta, con sotto una scritta dipinta che la nega, e che pone di fatto problematiche impossibili da risolvere, perché è impossibile definire se quella asserzione è vera, falsa o contraddittoria. Tutti gli elementi della figura, secondo Foucault rimandano a un calligramma costruito segretamente da Magritte, poi disfatto con cura. Un’operazione annullata appena compiuta.

Nella sua tradizione millenaria il calligramma ha un triplice ruolo: compensare l’alfabeto; ripetere senza il soccorso della retorica; prendere in trappola le cose con una doppia grafia. Cancella quindi le più antiche opposizioni della nostra civiltà alfabetica, cioè il mostrare e nominare, il raffigurare e il dire, il riprodurre e articolare, imitare e significare, guardare e leggere. Magritte ne riprende le tre funzioni, ma allo scopo di pervertirle e turbare così tutti i rapporti tradizionali tra il linguaggio e l’immagine. “I titoli sono scelti in modo da impedire che i miei quadri vengano situati in una regione famigliare, che l’automatismo del pensiero non mancherebbe di evocare per sottrarsi all’inquietudine”. Una sorta di liberazione della pittura dalla dittatura del verosimile.

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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro